NATO, terremoto e sviluppo economico

di Giorgio Raccichini, Segreteria regionale PCI

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In questi mesi di eventi sismici abbiamo ascoltato i rappresentanti delle istituzioni italiane incoraggiare i cittadini dei territori colpiti e promettere tempi “rapidi” per la ricostruzione. Naturalmente non ci si può aspettare che una devastazione così ampia si possa risolvere in pochissimi mesi, anche se certi ritardi (si pensi alla vicenda delle stalle degli allevatori costretti volenti o nolenti a rimanere anche d’inverno nelle aree colpite insieme ai loro animali) sono a dir poco intollerabili.

Ricostruire case, aziende e testimonianze storico-artistiche diffuse richiederà miliardi e miliardi di euro. Si tratta di un’opera immane che va comunque portata avanti con la consapevolezza che sarà inutile ricostruire le case se allo stesso tempo non si ricostruisce un tessuto sociale grazie al rilancio dell’economia e del patrimonio culturale.

C’è chi guarda speranzoso all’Unione Europea. Tuttavia, con ogni probabilità, per i difensori dell’austerità e del liberismo non c’è nessuna tragedia che tenga: l’importante è non sforare i parametri assurdi di Maastricht, facilitare in ogni dove la penetrazione del grande capitale industriale e bancario e operare le riforme ai danni dei lavoratori. D’altra parte ad essere colpiti sono piccoli paesi e piccole imprese, insomma cittadini europei di serie b.

Quello che è ancor più grave, però, è che lo Stato continui a far parte di un’organizzazione militare, la NATO, che serve gli interessi imperiali di USA e UE e dei grandi gruppi economici di entrambe le sponde dell’Atlantico. Che cosa c’entra – si potrebbe chiedere – la NATO con il terremoto? La risposta è da ricercare nei milioni e milioni di euro che l’Italia spende nel settore della Difesa in conseguenza della sua appartenenza alla NATO. Si calcola che ogni giorno l’Italia bruci a causa della NATO più di 50 milioni di euro, anche una parte soltanto dei quali sarebbe utile allo sviluppo economico e sociale dell’Italia e alla ricostruzione delle zone terremotate. Oggi, inoltre, si impongono ulteriori cambiamenti nell’adesione dell’Italia alla NATO: l’Amministrazione Trump, ben lungi dal rinnegare un suo strumento di dominio globale, chiede con maggior forza ai Paesi membri dell’Alleanza Atlantica di portare le spese per la Difesa al 2% del PIL, il che per l’Italia vorrebbe dire semplicemente raddoppiarle rispetto al già elevatissimo livello attuale. Mentre gli Stati Uniti propongono ai propri alleati una diversa ripartizione delle spese, i governanti europei accusano Trump di voler affossare la NATO, cosa assolutamente non vera: i governanti dell’Unione Europea e i grandi gruppi economici che rappresentano hanno estremamente bisogno della NATO, almeno finché non sarà approntato un esercito europeo, per imporre con le minacce o con gli atti di forza l’espansione dell’Unione Europea dentro e al di fuori dei confini del Vecchio Continente; tuttavia vorrebbero allo stesso tempo che fossero gli Stati Uniti ad accollarsi la maggior parte delle spese.

Che aspettiamo ad uscire dalla NATO? Per noi Comunisti si tratta di una battaglia non solo in nome della pace tra i popoli, ma anche in nome dello sviluppo economico e sociale del nostro Paese.

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