Il Congresso regionale delle Marche della Costituente Comunista

11-06-2016

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  • Cronaca

Sabato 11 giugno, ad Ancona, dalle ore 10.00 sino alle ore 18.30, si è tenuto, presso il Circolo Operaio “Walter Germontari”, il Congresso regionale per la ricostruzione del Partito Comunista Italiano. Esso, preceduto da tutti i congressi provinciali delle Marche, ha avuto anche il compito di eleggere i delegati marchigiani al Congresso nazionale per la ricostruzione del PCI, che si terrà a Bologna dal 24 al 26 giugno prossimi. E’ stato un ottimo Congresso, molto partecipato, molto unitario e convinto – in tutti i suoi delegati – del progetto volto alla ricostruzione del Partito Comunista Italiano. Mentre i compagni e le compagne prendevano posto, il tenore, e compagno, Augusto Celsi, ha intonato l’Internazionale. Eletta la Presidenza, la compagna Rosalba Cesini ha lasciato la parola al sindaco di Ancona, Valeria Mancinelli, per un saluto al Congresso. Dopo il saluto, la relazione introduttiva di Fosco Giannini (relazione che alleghiamo e che dalla quale si potrà conoscere il percorso che è stato intrapreso  – a livello nazionale –  per giungere al  prossimo Congresso costituente di Bologna ).

Dopo la relazione introduttiva si è dato spazio ai saluti delle varie forze politiche e sociali delle Marche. Hanno portato il loro saluto ( oltre il sindaco di Ancona): Giorgio Manfredi  (ANPI); Giuseppe Santarelli (segreteria regionale  Marche CGIL); Letizia Ruello ( PRC Marche); Franco Boldrini ( avvocato, che ha annunciato la sua iscrizione al PCI), , Edoardo Mentrasti (Coordinatore regionale SEL); Tiziana Marsili Tosto (attrice e regista teatrale, Presidente Compagnia Circo Amalassunta);  Carlo Cardarelli (Presidente regionale ACU e Associazione Inquilini); Loredana Galano ( Rete Italiana femminista,  Womanareuropee – WAE); Alberto Sgalla ( scrittore, che ha annunciato la sua iscrizione all’Associazione per la Ricostruzione del Partito Comunista); Mariano Guzzini (PD Ancona); Marco Savelli (già segretario regionale Marche PRC). Hanno inviato i loro interventi scritti ( che sono stati letti dalla Presidenza e che alleghiamo): Domenico Losurdo, Piergiovanni Alleva, Alessandro Belardinelli, Emanuele Rossi, Marino Severini, Giorgio Montanini.

Hanno partecipato al Congresso 73 delegati, di cui 18 donne. Vi sono stati 24 interventi e, tra questi,  5 interventi di compagne. Come è ormai noto, al Congresso costituente nazionale per la ricostruzione del Partito Comunista Italiano partecipano: tutto il PCd’I ( che si scioglie e confluisce nel progetto unitario); un’area del PRC e tanti compagni/e, in tutta Italia, senza partito e senza tessera. E’ per questo che i 24 interventi al Congresso regionale Marche sono venuti da compagni ex PRC ( tra i quali Maurizio Belligoni, segretario regionale Marche PRC sino ad un anno fa; Mariella Baldoni, ex PRC Fabriano e altri ancora ex PRC Marche), da compagni ex PCd’I Marche e da compagni/e senza provenienza partitica.  Le conclusioni del Congresso sono state svolte dal compagno Marco Amagliani, già membro del Comitato Politico Nazionale del PRC.

  • Votazioni finali:

il Documento Congressuale Nazionale è stato approvato con 70 “sì” e 3  astensioni, dopo che è passato all’unanimità un emendamento aggiuntivo proposto dal compagno Franco Boldrini, che aggiunge ai punti del programma alla tesi 20 un punto relativo “alla lotta senza quartiere contro il jobs act”;

la proposta di Statuto è stata approvata con 3 astensioni;

All’unanimità  sono stati delegati al Congresso Nazionale:

MARCO AMAGLIANI, MAURIZIO AMAGLIANI, MAURIZIO BELLIGONI, MARIELLA BALDONI, CARLO ZAMPETTI, ALFONSO NAPOLITANO, MASSIMO MARCELLI FLORI, ALPIO RICCARDI, MARIA CRISTINA ILARI, DANIELE  FARRONI, MILENA ROSSI, GIANLUIGI  GILI, FOSCO GIANNINI, ROSALBA CESINI, LIDIA MANGANI, FABIANA PIERGIGLI, DANIELE CECI, FABIO PASQUINELLI, PAOLO GUERRINI, RUGGERO GIACOMINI, RAFFAELE AQUILANTI, MAURIZIO FORMICA, CESARE PROCACCINI, EMANUELE PROFILI, GIORGIO BRAMATI, EMILIANO ALESSANDRONI, GIORGIO RACCICHINI, RENZO INTERLENGHI, ARIANNA GRANATELLI, PATRIZIA SERAFINI, PAOLA VOLPONI, FEDERICO QUONDAMATTEO,  ATTILIO BIOCCA

All’unanimità è stato anche eletto il Coordinamento regionale di gestione provvisoria,  previsto dalle norme Congressuali in attesa del Congresso regionale  che dovrà eleggere i  nuovi gruppi dirigenti. Ne fanno parte:

Marco Amagliani, Mariella Baldoni, Alessandro Belardinelli, Maurizio Belligoni, Attilio Biocca, Giorgio Bramati, Raffaele Bucciarelli, Rosalba Cesini, Remo Cicalese, Primo Galdelli, Ruggero Giacomini, Fosco Giannini, Paolo Guerrini, Massimo Marcelli Flori, Fabio Pasquinelli, Angela Priori, Cesare Procaccini, Giorgio Raccichini, Alpio Riccardi, Milena Rossi, Patrizia Serafini, Carlo Zampetti

  • Relazione introduttiva di Fosco Giannini

Compagne e compagni,

cari compagni e compagne di tutta una vita

e cari compagni nuovi, giovani, che ci siete

e, speriamo, ci darete al più presto il cambio,

dal 24 al 26 giugno prossimi, a Bologna, le migliaia e migliaia di comuniste e comunisti che in questi anni hanno tenacemente cercato di unirsi, daranno vita alla Costituente Comunista, riprendendo  la falce e il martello, la bandiera e il nome di quello che è stato il più grande partito comunista dell’Occidente, del  più grande partito comunista al mondo non al potere, di quel partito che Pasolini chiamava “un Paese nel Paese”, evocando il fatto che quel Partito, per la sua spinta alla trasformazione sociale e per la sua qualità morale, era, di per sé, un’anticipazione stessa  del proprio progetto strategico, un’anticipazione viva del socialismo; queste migliaia e migliaia di compagne e compagni rilanceranno i simboli di quel partito che sciaguratamente Achille Occhetto e i suoi seguaci sciolsero, aprendo così la strada, in Italia, alla reazione, alle forze della destra, al liberismo, al populismo, al razzismo:

queste compagne e questi  compagni, che da circa un decennio si battono per l’unità dei comunisti, riprenderanno e rilanceranno il nome del  P.C.I. , del Partito Comunista Italiano!

Serve un augurio alla nostra impresa!

Un saluto al Partito Comunista Italiano che vogliamo ricostruire!

Un applauso al nostro progetto comunista, antimperialista, internazionalista e rivoluzionario!

Il percorso che ci ha portati a questa fase costituente  è stato lungo, difficile, tortuoso, non privo di errori , contraddizioni e problemi, ma infine entusiasmante.

Tutto inizia dopo la sconfitta dell’Arcobaleno, nelle elezioni politiche del 13 e 14 aprile del 2008, che portano questa esperienza di sinistra unita, con dentro i comunisti, alla disfatta elettorale del 3,2% e zero eletti alla Camera e al Senato.

Il 18 aprile del 2008 , dopo la disfatta dell’Arcobaleno, esce su La Repubblica, sul Corriere della Sera, sul Manifesto, su Liberazione, un Appello, scritto da cento, tra quadri operai e intellettuali, che chiede ai comunisti di unirsi, chiede al PRC e al PdCI di formare un unico partito comunista.

Il 21 aprile il compagno Oliviero Diliberto, al TG2, dice subito di si. Dice che il PdCI è pronto a sciogliersi per l’unità. Seguono, in pochi mesi, 80 grandi iniziative nel Paese, per disseminare l’idea dell’unità dei comunisti .

Allora, il PRC contava su di 80 mila iscritti, il PdCI su di 40 mila. Unendo le due organizzazioni, avremmo avuto, in quel momento,   un Partito Comunista con 120 mila iscritti.

Ma perché la maggioranza del gruppo dirigente del PRC dice “no” all’unità dei comunisti, ad un unico partito comunista?  Il fatto è che nel PRC era in atto, da tempo, un profondo processo di decomunistizzazione che sarebbe poi sfociato nel tentativo ( portato avanti da Niki Vendola e  Fausto Bertinotti, al VII Congresso del PRC, nel luglio del 2008) nel tentativo  volto a trasformare Rifondazione in un più  vago partito di sinistra.

Vendola, alla testa dell’area bertinottiana, perde di pochissimo il Congresso, spaccando nettamente il PRC in due tronconi  e decidendo poi di uscire da Rifondazione.

L’area vendoliana  esce dal PRC, ma il compagno Paolo Ferrero, pur vincendo con la parola d’ordine di rilanciare l’autonomia comunista del  PRC, negli otto anni successivi, e cioè sino ad ora, non trova la forza né di rilanciare Rifondazione come partito comunista, né di aderire al progetto dell’unità dei comunisti. E di questo, il compagno Paolo Ferrero, dovrebbe sentire la grave responsabilità.

Certo, ognuno ha le sue colpe. E io credo che anche il PdCI abbia avuto le sue: ad esempio ha avuto la colpa di non aver creduto sino in  fondo e di non essersi impegnato con tutte le sue forze alla costruzione della Federazione della Sinistra, che era già il luogo dell’unità dei comunisti, dell’unità tra PRC e PCdI.

Nonostante ciò, nonostante questo errore, noi non abbiamo più smesso, concretamente, di lavorare per l’unità dei comunisti. Anni e anni di lavoro che sono sfociati, nel 2014, nella costituzione dell’Associazione per la ricostruzione del Partito Comunista.

Cos’è, cos’è stata questa Associazione?

E’ stata una lunga esperienza itinerante, una carovana che ha attraversato tutto il Paese disseminando l’idea dell’unità dei comunisti e l’idea della ricostruzione del Partito Comunista. Partita da Torino, nel novembre del 2014, riempiendo, una domenica mattina, un intero teatro torinese di compagne e compagni di ogni provenienza politica e senza provenienza politica, questa carovana non si è più fermata, facendo sosta in ogni città d’Italia, da Milano a Roma, da Vicenza a Trieste, da Potenza a Reggio Calabria, da Catania a Cagliari.

In quest’Associazione hanno trovato l’unità d’azione e l’unità progettuale il PCd’I nel suo insieme, un’area importante del PRC e centinaia di compagne e compagni esterni a queste due forze e senza tessera alcuna.

Dalla fine del 2014 sino ad oggi l’Associazione  ha organizzato, sull’intero territorio nazionale, più di 100 iniziative politiche, volte all’unità dei comunisti e all’unità dell’intera sinistra, volte alla ricostruzione del Partito Comunista Italiano.

Queste 100 e più  iniziative organizzate sull’intero territorio nazionale ( iniziative tematiche, sulle questioni della guerre imperialiste, del ruolo nefasto della NATO, sull’attacco nazifascista in Ucraina,  sull’Unione europea e sulle sue politiche iper liberiste e neo imperialiste, sulle politiche antisociali del governo Renzi, sull’orrore sociale del jobs act, sull’attacco reazionario alla Costituzione italiana portato dal governo Renzi-Verdini)  queste iniziative pubbliche  hanno coinvolto circa 8 mila compagne e compagni, gran parte delle quali e dei quali parteciperanno alla ricostruzione del PCI,  stanno  già partecipando ai nostri congressi territoriali e regionali e parteciperanno al  prossimo Congresso nazionale di Bologna.

La stessa modalità aperta che l’Associazione per la ricostruzione del Partito Comunista ha scelto ed esperito per le iniziative pubbliche ( che hanno visto il coinvolgimento di tanti  quadri operai – quasi sempre FIOM- delle grandi fabbriche del Paese, intellettuali, storici, economisti,  dirigenti di SEL, della sinistra diffusa, dei movimenti di lotta, a partire dal movimento contro la guerra e contro le basi NATO in Italia e, naturalmente, di compagni e dirigenti sia del PRC che del PCdI), questa stessa modalità aperta è stata utilizzata per scrivere il Documento Congressuale.

Un Documento, dunque, che ha visto la collaborazione di decine e decine di compagni e compagne dell’Associazione ( importante il ruolo delle compagne, delle donne, e credo di poter dire che questo ruolo, non solo per la questione di genere, nel Documento finale si senta fortemente,) intellettuali e operai del PCdI, del PRC, di esterni ai due partiti. Una davvero grande messe di contributi che abbiamo poi – anche faticosamente, ma fruttuosamente- sintetizzato nel Documento finale che, prima di essere licenziato e consegnato al dibattito congressuale, ha attraversato la discussione non solo dell’intero Comitato Centrale del PCdI, ma, anche, dell’intero Coordinamento Nazionale dell’Associazione per la Ricostruzione del Partito Comunista.

Una forma nuova, dunque, aperta, vasta, collegiale per mettere  a fuoco l’analisi e la proposta politica generale.

A conferma dello stile di lavoro inclusivo, inedito che è stato usato per giungere al Documento Congressuale, sono presenti nel dibattito congressuale quelle che abbiamo chiamato le Schede aggiuntive al Documento Congressuale.

Si tratta di  contributi al dibattito, di schede su temi specifici scritte, in gran parte, da intellettuali, quadri operai, leder dei movimenti reali di lotta che non entreranno nel Partito Comunista che stiamo costruendo, ma che sono già stati nostri compagni di strada nelle cento e passa iniziative organizzate nel Paese e, compagni di strada, lo saranno ancor più domani, nelle lotte, con noi e con l’intera sinistra italiana.

I nomi di chi ha firmato le schede aggiuntive al Documento Congressuale sono molti e parlano da soli. Ne ricordiamo solo alcuni,  come esempio del lavoro fatto, delle relazioni intessute e consolidate in questa lunga fase costituente: Mariella Cao, leader delle lotte , vincenti, in Sardegna, contro le basi nucleari americane; Antonio Mazzeo, protagonista delle lotte, in Sicilia, contro il Muos;  Marinella Correggia, esponente autorevole  del movimento “No War”; Tommaso di Francesco, del Manifesto, che scrive  sulla questione ucraina, mettendo a fuoco il ruolo feroce della NATO per la vittoria, a Kiev, dell’orda nazifascista; Fabio Frosini, il giovane e profondo studioso di Marx; Stefano Fassina che scrive sull’Ue; Antonino Galloni, che propone un’analisi della nefasta incidenza dell’Ue e della BCE sull’economia generale italiana; Yosuf Selman, un leader delle lotte palestinesi; Alessandra Riccio, condirettrice, con Gianni Minà, della rivista Latino America; Sergio Cararo, della Rete dei Comunisti; Umberto Lorenzoni, comandante partigiano di Treviso, duramente contrario alla controriforma costituzionale Renzi, Boschi, Verdini; Piergiovanni Alleva, il più grande giuslavorista italiano, che propone nella sua scheda per il nostro Congresso un nuovo statuto dei diritti dei lavoratori: Giuseppe Morese, operaio RSU FIOM della TyssenKrupp, collega e amico dei sette operai bruciati vivi nel rogo della fabbrica tedesca, a Torino; Maria Luisa Boccia, già presidente nazionale di SEL, che scrive sulla questione delle lotte e della libertà delle donne; Massimo Villone, docente di Diritto, per il NO al referendum sulla Costituzione; Domenico Gallo, magistrato, contro l’Italicum; Giorgio Nebbia, il più grande ambientalista italiano, che pone il problema di un nuovo modello di sviluppo, che neghi la mercificazione e incentri lo sviluppo sui bisogni veri dell’umano ; Chenh Enfu, alto dirigente e intellettuale del Partito Comunista Cinese, che – nelle Schede congressuali – affronta il tema, sul piano politico e teorico, dello sviluppo del socialismo nel mondo, oggi. E Domenico Losurdo, ormai considerabile tra i più grandi filosofi marxisti al mondo, che affronta la questione, politica e teorica, dell’imperialismo oggi ( e il compagno Losurdo, sarà con noi, nella costruzione del Partito Comunista).

E ancora altri e altre. Per un lavoro scientemente volto ad annunciare e anticipare il Partito Comunista che vogliamo: di lotta, aperto alle relazioni sociali e politiche, volto, nella sua autonomia politica e culturale, all’unità della sinistra, all’unità con i movimenti e le avanguardie del conflitto reale, dislocate sui fronti delle lotte sociali, nelle fabbriche  e contro le guerre, avanguardie antimperialiste e anticapitaliste.

Sappiamo che è attraverso questo stile di lavoro che potremmo recuperare e mettere a valore uno dei cardini del pensiero politico togliattiano: costruire un partito comunista che respinga l’isolazionismo, il massimalismo, il settarismo, l’arida aristocrazia politica, ma che sia capace, al contrario, di costruire una unità di popolo, una unita di classe, l’unità con gli intellettuali e con la classe operaia, col movimento operaio complessivo.

Il nuovo partito comunista che stiamo costruendo,  sarà dunque formato da tutto il PCdI, che si scioglie e confluisce nel progetto unitario; da una significativa area del PRC ( molto importante qui, nelle Marche), da compagne e compagni che singolarmente vengono da Rifondazione  e, ancora,  da quadri operai, intellettuali, giovani e donne che sono senza organizzazione, senza tessera alcuna, senza partito.

Sappiamo che vi è, in Italia ( dati emersi da sondaggi scientifici) una diaspora comunista verosimilmente calcolabile attorno ai 600 mila comunisti e comuniste senza tessera: la nostra ambizione è offrire a questi compagni e a queste compagne una nuova casa, un nuovo partito comunista nel quale organizzarsi e per il quale militare.

Nulla sarà facile: lo stesso attacco durissimo che proviene da decenni da parte della cultura dominante – attacco raccolto e utilizzato dalle forze populiste – contro la stessa forma partito aumenta la nostre difficoltà. Ma la nostra battaglia è tutta, in questa fase, in controtendenza e dovremo avere la forza e la pazienza di spiegare, almeno a tutti i compagni della diaspora comunista e, soprattutto ai giovani, che la forma partito non è sempre esistita e che, anzi, essa è, storicamente giovanissima, ricordando loro – e a tutti, anche ai grillini – che fu proprio la borghesia, nell’ottocento, quando la forma partito iniziò a presentarsi storicamente, fu proprio la borghesia ( i suoi intellettuali, i suoi filosofi) a scagliarsi contro la forma partito, per la paura che la borghesia stessa aveva del movimento operaio organizzato.

E oggi, alla base della demonizzazione della forma partito, costruita ad arte dalla cultura dominante, c’è la stessa paura. Che il nuovo, vasto, proletariato possa organizzarsi e, organizzato, possa minare le basi del potere capitalistico – borghese.

Questa è la genesi della Costituente Comunista, il racconto della lunga lotta che ci ha portati a questa fase congressuale.

Ma noi non facciamo finta di non sentire la domanda “perché siete comunisti ?”, né eludiamo l’altra domanda, quella dei nostri detrattori, di coloro che, dall’alto delle loro vittorie elettorali contingenti , quanto, forse, aleatorie, si rivolgono a noi con la domanda: “ ma perché siete, ancora, comunisti ?”.

Ancora, dicono, ancora comunisti, non sapendo che è proprio nella formulazione di questa domanda che  essi tradiscono la loro intrinseca debolezza politica, culturale, teorica, la loro mancanza di futuro, la loro impiccagione al dato contingente, il loro povero metro di misura legato all’ultima fase politica, all’ultimo dato elettorale.

Dicono ancora comunisti come avrebbero detto “ancora giacobini” ai rivoluzionari francesi dopo la Restaurazione del 1815; come avrebbero detto “ancora rivoluzionari” ai russi che rimanevano rivoluzionari dopo la sconfitta del 1905; dicono a noi “ancora comunisti” come lo avrebbero detto a Gramsci in carcere, dopo la vittoria del fascismo. Dicono “ancora comunisti” come lo avrebbero detto ai comunisti spagnoli dopo la vittoria dei franchisti.  Dicono “ancora comunisti” come avrebbero detto “ancora rivoluzionari” a ribelli cubani  che il 26 luglio del 1953 attaccarono la Moncada a Santiago di Cuba, morendo ma anticipando la rivoluzione ; come lo avrebbero detto ai compagni greci dopo il golpe dei colonnelli. E con lo stesso spirito opportunista lo avrebbero detto ai comunisti cileni dopo Pinochet.

NO! Noi non siamo “ancora comunisti”. Noi siamo comunisti e comuniste per l’oggi e per il domani.

L’abbiamo imparato: ci sono uomini, dirigenti politici, interi partiti, che misurano il valore di un sistema di pensiero, di un progetto rivoluzionario, da quanti voti prende quel progetto rivoluzionario in una fase politica data e in un Paese dato. Non considerando come lo stesso meccanismo elettorale borghese sia sempre più egemonizzato dalla cultura dominante, dal potere mediatico, culturale, economico della classe dominante.

Ma gli stessi meccanismi elettorali del sistema borghese tendono a consumarsi, e nella loro consunzione tendono a smascherarsi: non è ora, ad esempio, di interpretare il sempre più vasto mondo dell’astensionismo ( ormai oltre il 60%) come una forma, seppur confusa, di  un nuovo sapere di massa, che intuisce come gli stessi meccanismi del potere borghese sappiano costruire false alternative politiche, sappiano costruire partiti e movimenti con consensi di massa, partiti e movimenti diversi tra loro solo nel nome e nello stile di lavoro ( o più tradizionale o più urlato) , ma sempre consustanziali al potere borghese?

Noi siamo comunisti. E siamo consapevoli che questa fase che viviamo in Italia ( in Italia, no nel vasto mondo, dove i comunisti crescono e vincono) è segnata, sovra ordinata, da un groviglio di questioni che – per così dire – avrebbe abbattuto un toro:  noi, comunisti di oggi, abbiamo sulle spalle la, storicamente, vicinissima sconfitta dell’Unione Sovietica, lo scioglimento del più grande partito comunista al mondo non al potere: il PCI; il fallimento del progetto della Rifondazione Comunista.

Ma questi sono eventi storici nostrani, tutti italiani, storicamente minori, non sono  eventi filosofici e universali. Sono mutazioni della fase italiana, non cancellazioni dei  due grandi sistemi di pensiero (politico e filosofico)  tra loro antagonisti: il pensiero capitalista e borghese e il pensiero comunista e rivoluzionario. Che rimangono, intatti, nella loro totale avversità e nella loro lotta storica.

Detto ciò,  noi non siamo comunisti per coazione a ripetere, perche lo sono stati i nostri genitori, la nostra famiglia, perché lo siamo stati noi stessi da giovani. Se fossimo comunisti per questi motivi noi non avremmo futuro.

Noi siamo comunisti e  comuniste perché siamo filosoficamente, scientemente convinti che il capitalismo ha già, storicamente, fallito, perché sopravvive solo attraverso immense spoliazioni di popoli e di classi; perché vive solo attraverso l’imperativo categorico dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla donna. Perché vive e lucra sulla guerra, come azione di dominio, saccheggio e rivalorizzazione storica del capitale. Perché vive distruggendo, attorno a sè, l’ambiente e la vita in cui viviamo. Perché, come in Italia, costruisce un nucleo di venti famiglie economiche che detengono il 70% dell’intera ricchezza nazionale.

Noi siamo comunisti e comuniste perché siamo filosoficamente e scientemente convinti che solo il superamento storico dei rapporti di produzione capitalistici potrà essere l’alba di una nuova società umana.

Ma noi comunisti, naturalmente, per legittimare la nostra stessa azione, non possiamo affidarci  solo al nostro, seppur alto, pensiero politico e teorico.

Noi  non siamo sognatori velleitari e traiamo la nostra forza anche da un  contesto internazionale ( e cioè la verità del mondo, che non è data dalla minuta verità italiana)  che ci dice chiaramente che abbiamo ragione, che abbiamo ragione nell’essere comunisti. Ci dice chiaramente che l’ illusione di Fukujama della “Fine della Storia” e della vittoria eterna del capitalismo era, appunto, una idealistica  illusione e che, dopo quell’affermazione, il  mondo è , di nuovo, celermente cambiato e un nuovo fronte, poderosissimo e antimperialista, è riapparso, si è consolidato sull’orizzonte della Storia e muta la Storia.

E’ Il fronte, già vasto e in via di amplificazione, dei BRICS, dei paesi che, uniti sul piano politico, economico e militare, offrono una nuova sponda ai popoli soggiogati dall’imperialismo, ai paesi e agli Stati in via di liberazione, dando ancor più senso storico all’agire delle forze antimperialiste, rivoluzionarie, comuniste del mondo.

Il segno stesso della potenza antimperialista dei BRICS è dato proprio dalle ferocia con la quale, oggi, l’imperialismo si scaglia contro il Venezuela, il Brasile, la Russia, attraverso la conquista di Kiev, la Cina, attraverso lo spostamento del fronte militare USA e NATO ai confini cinesi.

Non siamo velleitari perché sappiamo che, nel mondo intero, i partiti comunisti svolgono, ora, concretamente, un immenso ruolo liberatore, antimperialista, rivoluzionario, dal Sud Africa alla Cina, passando da Cuba, dall’India, dal Brasile, dal Venezuela, dalla Russia, dal Vietnam.

E solo un animo piccolo, una coscienza ristretta, provincialissima, può credere che un pensiero politico e una prassi di natura planetaria come il comunismo sia reso universalmente  illegittimo solo a partire dalla difficile condizione degli stessi comunisti in un piccolo Paese come l’Italia, dove,  per ragioni  particolari, legate ai fatti stessi italiani, al tradimento stesso dell’ultimo gruppo dirigente del PCI, i comunisti non possono, ora, svolgere lo stesso ruolo centrale che svolge il movimento comunista mondiale in relazione ad almeno un quarto dell’attuale umanità.

Care compagne e cari compagni, noi dobbiamo essere consapevoli di noi e dobbiamo essere consapevoli delle altre forze politiche italiane. Che analizziamo razionalmente, come esse analizzano noi. Senza spocchia, ma senza ipocrite indulgenze.

E rivolgiamo a noi stessi e alle altre forze politiche una domanda, quella cruciale: in Italia,la miseria di massa, il disagio sociale di massa, la disoccupazione di massa, la sottosalarizzazione di massa, la distruzione ormai quasi totale dello stato sociale ( a cui, vediamo, partecipa allegramente anche il nuovo governo regionale delle Marche, privatizzando e destrutturando ancor più la sanità pubblica marchigiana),da dove provengono, tutti questi punti critici, se non dal combinato disposto dato dalle immense spese militari imposte dagli USA e dalla NATO, dalle politiche ferocemente antipopolari imposte dall’Ue e dal giro di vite imposto sui lavoratori dallo stesso capitalismo italiano?

E dunque la domanda cruciale: quale forza politica, oggi, in Italia, o coalizione di forze, possiede la natura politica e culturale per offrirsi come forza conseguentemente oppositrice di questo triplice potere liberista e reazionario?

Purtroppo, nessuna.

Noi comunisti, ora e qui, in Italia, per mille motivi, siamo in difficoltà. E i nostri avversari ci dicono che siamo fuori della storia. Ma le altre forze politiche che sentono di essere legittimate storicamente da un dato elettorale oggi favorevole, sono davvero soggetti del cambiamento storico, quindi veri soggetti politici, oppure sono, solamente, pure funzioni politiche, proiezioni del capitale, e dunque falsi soggetti storici?

A partire da cio, chiediamoci; cos’è il PD? Qual è la sua essenza politica e culturale? Sbagliamo, se diciamo che, ormai, con Renzi alla guida, è una forza essenzialmente liberista , esecutrice dei dettami di Maastricht in Italia e, dunque, priva di una sua, propria, autonomia politica e culturale? Sbagliamo a dire che il PD, a partire da ciò, è una delle varianti dell’organizzazione politica del liberismo e come tale non ha né senso strategico né futuro, e durerà finché sarà utile, in questa forma, al capitale italiano e all’Ue? E, dunque, non è affatto un soggetto storico, ma è solo una funzione contingente del capitale?

Il PD sta perdendo un’occasione importante: quella di porsi come cardine di un vasto fronte democratico e di sinistra volto a sconfiggere, debellare strategicamente la debole destra italiana. Invece di far questo, il PD sceglie di essere lui stesso la destra italiana.

Attraverso la nostra critica costante al PD di Renzi, noi comunisti puntiamo anche a favorire un risveglio democratico del PD. Dunque, compagni, o amici, del PD, dovete apprezzare la nostra posizione: una svolta a sinistra del PD sarebbe l’unica garanzia di sopravvivenza di questo Partito, che, al contrario, è destinato a consumarsi, perché a consumarsi presto sono destinate tutte le forze politiche prive di identità. Fiori per una sola stagione, o due.

Sbagliamo a dire che buona parte della confusissima sinistra italiana, quella non comunista e non di classe, non può aspirare ad altro ( allo stato delle cose, se questa sinistra, come auspichiamo, non spicca il volo e non radicalizza il suo progetto politico e culturale), non può aspirare ad altro se tutto le va bene, che ad essere una riedizione della socialdemocrazia classica, e cioè il soggetto mediatore storico tra capitale e lavoro?  Nulla di male, i comunisti ne sarebbero felici. Ma anche questa, seppur remota, evenienza – la messa in campo di una forza socialdemocratica  di massa-  certo non offrirebbe al proletariato italiano un orizzonte di profonda trasformazione sociale.

E, attenzione, non diciamo questo per alzare muri di settarismo con questa sinistra italiana, con la quale vogliamo invece lavorare e unirci nelle lotte. Lo diciamo per mettere a fuoco un’analisi seria della natura politica essenziale delle forze in campo. Come gli altri fanno con i comunisti.

Sbagliamo a dire che la cosiddetta “sinistra del PD” non può, in verità, aspirare a nessuna autonomia dal PD, non può pensare, dunque, a nessuna scissione costruttiva, poiché priva anche di un minimo afflato socialdemocratico e, dunque, allo stato delle cose,  destinata a fare solo l’ala sinistra di un partito liberale, il PD, e, conseguentemente, ad essere un’area liberista di sinistra?

Sbagliamo a dire che il M5S denuncia  una natura, un’essenza politico teorica apparentemente ondivaga, ma – scavando – pericolosamente sbilanciata a destra, giudizio che discende dalla sua collocazione all’estrema destra al Parlamento europeo sino alle sue posizioni quasi “leghiste” sugli immigrati? Posizioni quasi leghiste che, infatti, procurano al M5S il voto di Salvini  ai prossimi ballottaggi…  Sbagliamo a definire pericolosamente ambiguo il M5S a partire dalla sua assenza nel conflitto sociale, nello scontro capitale lavoro, nella sua rinuncia ad essere un costruttore dell’unità a sinistra? Vediamo i “grillini” molto più spesso davanti alla Camera dei deputati a contestare le spese politiche per i deputati che nelle piazze a contestare il jobs act… E ancora: sbagliamo a definirli ambigui, i grillini, se pensiamo alla presenza di uomini dell’imperialismo USA direttamente nella Casaleggio Associati ? Se sentiamo il loro silenzio assordante nella lotta contro le guerre imperialiste e contro la NATO? Qual è il progetto strategico del M5S? Qual è la sua natura di fondo: liberista, socialdemocratica, socialista ? La sua natura è un apparente mistero. In verità, dai segni che oggi emergono, il M5S è una forza già organica al sistema capitalista, altro che antisistema. Non si è anti sistema perché populisticamente contrari alla “vecchia politica”: si è antisistema se si è conseguentemente antimperialisti, anticapitalisti, se si è chiaramente contro la NATO, contro le guerre imperialiste, se ci si batte, strategicamente, per un altro mondo, per il socialismo.

Tuttavia, anche all’interno del M5S vi sono molte forze sane e se esse fossero coinvolte in un più vasto arco unitario a sinistra, queste forze potrebbero emergere e chiarire la natura stessa del M5S…

Anche da questa ipotesi politica si può comprendere l’importanza della costruzione di una unità vasta della sinistra, che unita, nelle lotte, possa, nel suo insieme, rigenerarsi, accumulare forze  e radicalizzarsi, mettendo una pietra sopra sul progetto del centro sinistra, ormai impossibile con il PD di Renzi.

Ma l’unità della sinistra può avvenire solo ad un patto: che essa non chieda ai vari soggetti, compreso il partito comunista, di sciogliersi e abbandonare le proprie autonomie culturali e politiche; non può chiedere ai movimenti di lotta di scomparire per entrare, senza più autonomia, in un partito di sinistra essenzialmente moderato: su questa base si costruirebbe una piccola formazione politica  senza respiro sociale, mentre ciò che occorre è la costruzione dell’unità delle forze della sinistra diffusa e  di classe attraverso la conduzione unitarie delle lotte e di un avanzato progetto politico di trasformazione sociale. Il Partito comunista ci starebbe dentro.

Noi, comunisti, il nostro prossimo e ormai vicino partito, siamo l’unica forza politica chiaramente dotata di una propria cultura, di un propria e autonoma chiave di lettura della realtà, della fase, della storia che attraversiamo. L’unica forza dotata di un progetto strategico.

Certo, ciò non ci basta e non ci consola: non è sufficiente, cioè, a rimuovere le nostre grandi difficoltà.

Dobbiamo, e certo non è poco, uscire dalla crisi provocata dalle nostre stesse abdicazioni,  l’ultima delle quali, quella bertinottiana, che ha fortemente indebolito il PRC e l’intera sinistra italiana. Ma  la più grande delle quali sta proprio nello scioglimento, assolutamente insensato, del PCI. Insensato, certo, dal punto di vista degli interessi del proletariato italiano, non certo dal punto di vista dei padroni, ed è, questa, un’interessante chiave di lettura dell’operato liquidazionista di Occhetto: per chi l’ha fatto? Per chi , Occhetto e i suoi, hanno  liquidato il PCI? Per giungere al PD? Per fare un regalo alla borghesia italiana? Alla fine, è stato per questo.

Siamo dotati del pensiero politico più grande, del più rivoluzionario; siamo dentro una fase storica che vede di nuovo le vittorie e gli avanzamenti, a livello mondiale, delle forze antimperialiste, rivoluzionarie, socialiste,  vittorie di stampo socialista che legittimano storicamente, ogni giorno, anche il nostro, difficile, agire all’interno di un paese capitalista privo di cultura politica anticapitalista di massa.

Ma, certo, non ci sfugge il fatto che agiamo controcorrente e che dobbiamo, essenzialmente, ricostruire consenso di massa e legami di massa, che sono stati  interrotti.

Nel lavoro di costruzione del Documento Congressuale ci siamo accorti, studiando i Documenti Congressuali degli ultimi dieci anni sia del PdCI che del PRC, che mai appariva, nei Documenti, una Tesi completa e autonoma rivolta al problema della ricostruzione di una linea di massa, rivolta alla ricostruzione di un consenso di massa, per il Partito Comunista.

Nel nostro Documento Congressuale c’è, ed è la Tesi 19.

E noi dobbiamo fare uno sforzo, concettuale e politico, ideale e organizzativo centrale:  mettere a fuoco una linea di massa,attraverso la quale ricostruire i legami sociali.

E su questo punto vorrei incentrare tutta la parte finale della mia relazione, come contributo concreto alla ricostruzione del Partito comunista, anche qui, nelle Marche.

Dobbiamo contestualizzare:

L’involuzione politica, culturale e ideologica dell’ultima fase del Partito Comunista Italiano, che si offre come base materiale per la “Bolognina” e per la stessa autoliquidazione del PCI, prende essenzialmente corpo attraverso la liquidazione di due categorie cardinali della cultura comunista: l’antimperialismo e l’internazionalismo. La lunga fase di egemonia “bertinottiana” sul PRC, anziché opporsi a tale liquidazione, ne segue essenzialmente le orme, confondendo ancor più le acque sul piano ideologico, sino al punto di sospingere il PRC ad una propria collocazione internazionale  esterna al movimento comunista mondiale. Un lungo lavoro politico e teorico è occorso, ai comunisti  contrari alla deriva della “Bolognina” e a quella “bertinottiana”, per ricostruire un senso comune, in migliaia e migliaia di compagne e compagni, segnato dalla centralità dell’antimperialismo e dell’internazionalismo. Queste migliaia di compagni/e sorreggono, oggi, il processo costituente per la ricostruzione del partito comunista.

Tuttavia, se in questi decenni la risposta alla cancellazione della cultura antimperialista e internazionalista vi è stata, e oggi segna positivamente di sé l’intero processo costituente, più debole è apparsa, in questa stessa fase temporale, come dicevo, la riflessione e la prassi volte alla ricostruzione dei legami di massa e alla definizione di una politica per l’organizzazione del consenso di massa per il partito comunista. Oggi, è compito  primario dei comunisti difendere e irrobustire le linee dell’antimperialismo  e dell’internazionalismo e, dialetticamente, costruire un partito comunista, “una forma partito del terzo millennio”, atta a definire un progetto e una prassi per la messa in campo di una linea di massa come viatico per la ricostruzione dei legami sociali  e la conseguente riorganizzazione del consenso di massa: sociale, politico ed elettorale.

Centrali, da questo punto di vista, sono il rapporto tra tattica e strategia, la costruzione dell’opposizione di classe e di massa e  il Programma Generale

Ogni progetto che punti ad avere sbocchi positivi e concreti poggia, innanzitutto, sul rapporto dialettico tra tattica e strategia; per ricostruire una linea di massa abbiamo dunque bisogno di definire una linea politica per la fase non disgiunta da un disegno generale e prospettico. E’ indubbio che per definire e proporre a livello di massa una linea per l’oggi occorre partire dal vuoto socialmente drammatico che contrassegna la fase: la mancanza di un’opposizione di classe e di massa alle politiche belliche imposte, anche nel nostro Paese, dagli Usa e dalla NATO e ai diktat  liberisti  imposti dall’Ue. I poderosi attacchi antisociali del governo Renzi chiederebbero, chiedono, un’altrettanta poderosa risposta sociale e di massa. Che è invece assente, che nemmeno la CGIL sa mettere in campo. E lo potrebbe. Da questo punto di vista la Francia è lontana.

Da qui deriva il primo compito del Partito Comunista che nasce dalla Costituente: essere alla testa, proporsi come motore politico, della ricostruzione di un’opposizione di classe e di massa, entro la quale costruire un polo comunista e di classe che con maggior forza sociale e autorevolezza politica possa lavorare per l’unità dell’intero arco delle forze della sinistra italiana. Questa linea di fase deve  collegarsi (tattica e strategia) con un progetto di lungo periodo – la transizione al socialismo – che dovrà essere delineato in un “Programma Generale”, che da decenni manca alle forze comuniste italiane.

Per perseguire l’obiettivo del recupero dei legami di massa, occorre ricostituire una cultura politica generale, un senso comune tra i dirigenti, i militanti e gli iscritti  del Partito Comunista, che individui nel conflitto, nella conduzione della lotta di classe – e non in altre, involutive e sostitutive scorciatoie – il terreno privilegiato per l’organizzazione del consenso. Quest’obiettivo non paia così scontato: molte e diverse argomentazioni e linee politiche, negli ultimi anni e provenienti da esperienze comuniste diverse , hanno eroso quest’assunto comunista e solo una prassi di lotta sociale determinata e un profondo lavoro culturale potranno trasformarlo di nuovo in coscienza diffusa.

Assieme alla ricostruzione di un senso comune  interno al Partito segnato dall’esigenza della centralità del conflitto, occorre una forma partito che il conflitto sia in grado di sorreggerlo.  Una forma partito che si ristrutturi attraverso la riassunzione del progetto organizzativo del migliore PCI ( dato dal connubio politico-culturale Gramsci-Togliatti), segnato dal rapporto dialettico tra sezioni territoriali (sedi dell’elaborazione e dell’iniziativa del Partito, ma anche aperte e di popolo)  e organizzazione del partito comunista direttamente nei luoghi del lavoro e dello studio, a cominciare dai punti alti dello scontro di classe, nei luoghi della produzione avanzata e d’avanguardia: le cellule di produzione, opzione organizzativa di natura leninista e gramsciana, segno stesso di un partito rivoluzionario e non casualmente rimossa, dunque, lungo i processi di socialdemocratizzazione e involuzione dei partiti comunisti e di sinistra  italiani.

Ma quali sono gli elementi essenziali della  forma partito comunista ?

Proviamo ad enunciarli:

–  una nuova concezione dell’iscrizione al partito, su cui lavorare: chi si iscrive deve anche militare. E’, questa, una questione non solo politica, ma anche teorica, politica, etica, morale.

– il dispiegamento di una cultura politica e culturale volta ad orientare i comunisti/e ad essere presenti, oltre che nel Partito, nei gangli della più vasta articolazione politica, sociale, sindacale. Decisiva è infatti, al fine di rafforzare lo stesso  partito comunista,  la presenza attiva dei comunisti/e  all’interno del sindacato, del movimento contro la guerra, dell’Anpi , dei movimenti di lotta. Sul fronte sindacale  sciogliamo un nodo: in quale sindacato operano i comunisti? Rispetto all’esigenza di radicare il Partito tra i lavoratori e nelle loro lotte concrete i comunisti/e militano, in relazione al loro posto di lavoro e in relazione ad altre questioni  materiali e razionali, sia nella CGIL che nel  movimento sindacale di  base e di classe, anche nell’intento di lavorare strategicamente per la costruzione di un sindacato unico, di classe e di massa;

– occorre riaffermare la “centralità della piazza”, dei cancelli delle fabbriche, delle scuole e dell’università, di ogni posto di lavoro, come  spazi di primario interesse per l’organizzazione del consenso di massa. E se “la piazza”, la costante presenza del Partito nei luoghi di lavoro, di studio e di popolo è da considerarsi azione prioritaria, occorre avere un Partito, nei territori, organizzativamente  attrezzato, in grado, cioè, di amplificare rapidamente all’esterno una linea politica territoriale o nazionale.

– il lavoro sui media: i media, la Rete, rappresentano il nuovo terreno di organizzazione del consenso di massa, che non annulla il terreno sociale, non oscura la piazza, ma si aggiunge a questi spazi; l’atteggiamento dei comunisti, rispetto a questo nuovo terreno dell’organizzazione del consenso di massa, ha sinora ondeggiato tra la pura incomprensione politica e teorica della questione e  un atteggiamento “aristocratico” e liquidatorio.  Il Partito deve invece assumere il terreno di organizzazione del consenso di massa insito nei nuovi media e, soprattutto, nella Rete come “l’altro” terreno di eccellenza – oltre il conflitto sociale e la piazza – volto al rafforzamento del legame di massa. Su questo punto un’analisi e una proposta nuova e forte sono contenute nella Tesi 15 del nostro Documento congressuale.

– la costruzione del Partito Comunista come partito sociale, un partito che sta a fianco dei lavoratori, dei disperati, degli ultimi anche nelle loro disgrazie, nei loro problemi quotidiani. C’è un aneddoto della vita di Ho Chi Minh a questo proposito illuminante: si era in una fase di difficoltà della lotta anticolonialista  del partito comunista vietnamita contro l’esercito USA, e Ho Chi Minh, per salvare la pelle, era entrato a  lavorare in un campo, contadino tra i contadini, senza che nessuno sapesse che era il leader della lotta rivoluzionaria. In quella fase i comunisti facevano le iniezioni, gratuitamente, ai contadini. E, un giorno, un contadino chiede ad Ho Chi Minh : “ Ma chi sono questi comunisti, che vengono a farci le iniezioni gratis? ”. E Ho Chi Minh rispose : “ Non lo so chi sono, ma se lo fanno gratis saranno delle brave persone…”. Anche così ci si lega al popolo.

– il rapporto con i movimenti: tale rapporto, per il Partito Comunista, è essenziale e vivificante e va cercato, accettato e costruito. Con i movimenti il Partito Comunista intreccia esperienze e costruisce lotte e vertenze e con i giovani dei movimenti il Partito si lega, a cominciare dalla FGCI. Tuttavia, il rapporto del Partito Comunista con i movimenti è contrassegnato dall’autonomia politica e culturale dei comunisti , autonomia che non consegna ai movimenti la categoria e la prassi gramsciana dell’intellettuale collettivo, pena lo svuotamento di senso del Partito.  Laddove ciò  è accaduto, e il Partito Comunista ha consegnato ai movimenti la categoria e la prassi dell’intellettuale collettivo, abbiamo constato l’emergere di processi, anche possenti, di decomunistizzazione del Partito;

– abbiamo bisogno di studiare, continuamente, per non essere dogmatici, per capire il difficile presente e, attraverso la comprensione, lottare per cambiarlo. Abbiamo bisogno di ripristinare le scuole di partito, la formazione. Scuole non dogmatiche, ma di ricerca vera e aperte ai giovani, ai lavoratori, agli intellettuali, anche non iscritti al Partito.

– le politiche di autofinanziamento: noi non prendiamo soldi dai padroni. E nella fase odierna, contrassegnata sia dall’assenza del Partito Comunista dal Parlamento che dalle grandi difficoltà finanziarie e materiali, d’importanza centrale sono le politiche d’autofinanziamento, politiche ed esperienze da rilanciare e da inventare, ma anche da ricercare nella grande storia del movimento operaio e contadino, italiano e internazionale, e occorre studiarle. Le feste popolari, nell’esigenza dell’autofinanziamento, debbono tornare ad essere una preziosa attività, ad iniziare dai territori: ogni provincia una Festa del Partito. Una Festa di popolo.

-il centralismo democratico: nella forma partito che oggi occorre ai comunisti, per perseguire l’obiettivo dell’unità come base materiale per l’intera azione volta alla ricostruzione dei legami di massa, cardinali sono la categoria e la prassi del centralismo democratico, opzione rivoluzionaria e filosoficamente contemporanea che ha bisogno, per realizzarsi, sia della richiesta di un dibattito franco e libero,  sollecitato (e mai represso) dagli stessi gruppi dirigenti, che la sintesi politica accettata e da ognuno/a praticata;

Ma quali soni I terreni di lotta prioritari per la ricostruzione dei legami di massa ?

– prioritaria sarà la lotta contro le guerre imperialiste e contro la NATO, per l’uscita dell’Italia dalla NATO. Ciò permetterà al Partito non solo di svolgere la battaglia più giusta in sé, ma anche di poter costruire i legami con il movimento contro la guerra, con le  avanguardie,  i movimenti, le nuove generazioni;

– decisivo , e pregno di futuro, sarà il ruolo che il Partito Comunista svolgerà contro le politiche liberiste dell’Ue. Contro tali politiche il Partito Comunista dovrà radicalizzare il conflitto, far crescere la critica tra i lavoratori e nelle piazze e porsi l’obiettivo di costruire un fronte di lotta il più vasto possibile. Dovrà condurre, con altre forze, una battaglia di grande respiro, volta alla costruzione di un senso comune capace di cogliere il nesso, poiché oggi questo nesso non è colto a livello di massa, tra i dogmi imposti ai popoli e agli Stati dall’Ue e l’allargarsi del disagio sociale italiano e continentale.

E base materiale del ripristino di una linea ed una prassi di massa è il progetto volto alla costruzione di un nuovo blocco sociale per la lotta anticapitalista e la transizione al socialismo. Tale “blocco” può costituirsi solo attraverso la messa a fuoco di progetti e l’organizzazione di lotte tendenti ad unire processualmente vaste aree sociali potenzialmente anticapitaliste ma oggi tra loro lontane e divise:

– a partire da ciò, il primo obiettivo è l’unificazione, attraverso una lunga lotta sociale e politico – teorica ( diversa e superiore rispetto alla, pur necessaria, lotta sindacale ed economicista) del proletariato, l’unità politica e d’azione del lavoro a tempo indeterminato con il lavoro precarizzato, parcellizzato, con le aree della disoccupazione e del’inoccupazione;

– la rimessa in campo, attraverso campagne di massa costruite con le altre forze della sinistra e dei movimenti, dopo decenni di silenzio e genuflessione alle ragioni del capitale, della questione salariale,   quella del contratto nazionale del lavoro, della “scala mobile”, in un’ottica, anche in questo caso, non solo sindacale, ma, appunto, funzionale al progetto dell’unificazione del proletariato e, dunque, strategica. E subito, naturalmente, la lotta contro il jobs act, che la CGIL sembra un po’ abbandonare e che i comunisti debbono mettere al centro della loro azione;

– la costruzione di una campagna strategica volta alla riduzione generale dell’orario di lavoro. La fase è fortemente segnata da uno sviluppo non lineare, ma esponenziale, delle capacità produttive dei nuovi mezzi di produzione capitalistici, sviluppo e capacità che entrano in contraddizione profonda con la sottosalarizzazione di massa e la grande restrizione dei mercati, provocando crisi di sovrapproduzione tendenti, mano a mano, a perdere il loro carattere ciclico per assumere forme sempre più strutturali. A partire da ciò, la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro non si presenta solo nella sua forma economicista e sindacale: essa è una risposta stessa alle crisi di sovrapproduzione e alla disoccupazione di massa;

– la centralità della questione di genere. Il Partito comunista non può più affrontare tale questione nel modo in cui finora si è affrontata: con sufficienza, quasi per dovere politico. Così non funziona. Le donne rappresentano non tanto la metà del cielo, quanto la metà – e più- del proletariato. Una loro presenza forte all’interno del Partito, come dirigenti del Partito, è una questione di classe. Dobbiamo iniziare a discutere la questione della troppo scarsa  presenza delle donne nel Partito e della scarsa presenza delle compagne nei ruoli dirigenti in modo profondo e serio, impegnando tempo nella ricerca dei problemi e praticando innovazioni coraggiose per avvicinarsi, almeno, alla risoluzione del problema. Almeno a viverlo con serietà, il problema. Certo è che occorre, sin dall’inizio, uno sforzo per promuovere il più possibile le compagne, anche le compagne più inesperte, nella direzione, a tutti i livelli, del Partito;

– la questione dell’ambiente: anche in questo caso non si può vivere questa lotta come lotta sussidiaria rispetto a quella tra capitale lavoro. Tutto si tiene: è il profitto capitalista che brucia vite umane e territori. Un altro ambiente vuol dire, semplicemente, un altro modo di produzione, non più quello, selvaggio, del capitale;
– la trasformazione della solidarietà al popolo degli immigrati in lotta rivoluzionaria: l’immigrazione non si fermerà; tale fenomeno non trova le sue basi materiali solo nella fuga di massa dalle guerre, dalla spoliazione imperialista, dalla miseria, ma anche da cambiamenti epocali in corso, legati al formarsi, sul piano universale, di una nuova concezione del mondo, di una nuova antropologia, di inedite percezioni del tempo e dello spazio che spingono milioni di persone ad attraversare nazioni, stati e confini. E’ a partire da ciò che, per i comunisti, non è sufficiente esprimere “solidarietà” agli immigrati: il loro compito, di natura strategica, è l’unita del movimento operaio complessivo italiano con il popolo degli immigrati, in una prospettiva di unità di classe del proletariato “bianco e nero. A partire da queste considerazioni, io ritengo rivoluzionaria la grande esperienza fatta dalla sezione del PCdI di Ancona del luglio 2014,, per la cosiddetta “Casa de njaltri”, un’esperienza di lotta sociale coraggiosa,  di unificazione del proletariato bianco e nero e che ha saputo coinvolgere altri pezzi del proletariato anconetano, giovani, donne, lavoratori. Si impara e ci si migliora dall’esperienza concreta.

– milioni di persone si addensano nelle periferie metropolitane. Esse rappresentano ormai, per la quantità  e per la “forma” unificante della disperazione sociale, un vero popolo, di cui i comunisti conoscono ancora poco e per il quale non hanno gli strumenti della decodificazione, poiché tali strumenti non hanno potuto trasmetterceli né Gramsci né Togliatti. Il popolo delle periferie metropolitane, in gran parte segnato da una natura essenzialmente sottoproletaria, corre il rischio di essere egemonizzato da forze politiche di destra, populiste e reazionarie. Radicarsi e operare socialmente e politicamente in queste nuove aree sociali, legarsi a questo nuovo popolo, lottare con esso per i diritti, per la casa, per il welfare vuol dire, per i comunisti, anche proseguire il lavoro, di natura strategica, volto all’unificazione del proletariato, alla costruzione di un nuovo blocco sociale anticapitalista capace di tenere aperta e sostenere, in prospettiva, la transizione al socialismo.

E tutto molto difficile, care compagne e cari compagni.

Ma, come affermava Muhammad  Alì, l’ex Cassiu Clay, il più grande peso massimo della storia della boxe, l’uomo che ebbe il coraggio di perdere tutto, rifiutandosi di andare a combattere in Vietnam: “ Non perdi mai quando combatti per una causa. Perdi quando non hai nessuna causa per cui lottare”.

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